a fondo pagina c'è la partitura
Nel secondo esempio, il quarto dei "Cinque pezzi per orchestra" op.
10 di Anton Webern (Es.2, vedi partitura a fondo pagina), abbiamo
apparentemente a che fare solo con le rovine del vecchio ambito
linguistico tradizionale. Questo campo di rovine rivela però di essere
un campo di forze altamente differenziato. Alla figurazione iniziale di
sei note del mandolino (a), fa riscontro, al capo opposto, la melodia
di cinque note del violino, ritmicamente piuttosto morbida, e
metricamente non più così ben impiantata (b); tra queste abbiamo una
figurazione di quattro suoni della tromba (c), ed una locuzione di due
note del trombone (d).
Il caso estremo, ancora riscontrabile, di una locuzione melodica di
una nota sola si trova, all'inizio, nella viola (e); l'articolazione
espressiva (cresc./dim.) dimostra chiaramente questa ascendenza. Allo
stesso tempo però quest'ultimo suono della viola rappresenta il livello
zero sotto il profilo dell'articolazione ritmica interna. Da questo
punto di vista varianti più movimentate possono essere i due interventi
del clarinetto: la nota tenuta, ma sciolta in trillo (f), ed il suono
precedente, ripetuto sei volte in sincope regolarmente ritmizzata (g).
Infine questa scala di ritmizzazioni di suoni tenuti, iniziata da uno
strumento ad arco e proseguita da due varianti di uno strumento a
fiato, termina con uno strumento a pizzico, il mandolino, con una
combinazione di due diverse regolarità di un suono ripetuto sette
volte: crome e terzine di crome alla fine del brano (h). Senza la
mediazione di questa figura del mandolino, già un po' irregolarmente
ritmizzata, non sarebbe tanto facile considerare come membri della
stessa famiglia anche le altre ripetizioni di note, ancor più
irregolari ritmicamente, della cassa chiara, dell'arpa e della celesta.
Converrà ripercorrere a ritroso la scala ditali irregolarità a partire
proprio dalla figurazione del mandolino. Allora l'arpa, con i suoi
cinque suoni che si susseguono a distanze estremamente diversificate,
rappresenta forse il massimo grado di irregolarità (i), vengono poi la
cassa chiara con tre colpi (k), ed infine non solo la celesta con le
sue due seconde (1), che si lasciano ben facilmente inserire, ma anche,
all'estremo opposto di questa scala, di nuovo l'arpa, con un unico
accordo semplicemente pizzicato di tre suoni (m). L'arpa si colloca
all'inizio, ai suoi antipodi, e viene a giustapporsi, in modo non
mediato, al suono tenuto della viola.
Proprio questi stessi gruppi di note rendono d'altro canto evidente
che, in questo specifico contesto, sonorità consuete si ridefiniscono
per la percezione. Infatti il corpo apparentemente estraneo costituito
dalla cassa chiara (k) è inserito nel contesto in modo non mediato non
solo come elemento ritmico, ma anche quale caso limite di rumore, cui
si ricollegano le seconde minori dell'inciso della celesta, non più
percosse, ma battute sui tasti (I), gli impulsi pizzicati dell'arpa,
secchi e poveri di risonanza trattandosi di suoni armonici (i), ed
infine il mandolino, suonato in modo normale in un pizzicato dalla
sonorità piena (h). In questi rapporti di reciproca mediazione in un
ambito quantomai ristretto il suono di ciascuno strumento vale come
straniamento di un altro: all'energico impulso della melodia iniziale
rispondono la frase ancora relativamente energica della tromba, e,
all'ultima battuta, la melodia del violino, suonata con morbidezza.
Il trombone è uno straniamento della tromba, l'arpa è un mandolino
vetrificato, e così via. Tutto è consueto ed allo stesso tempo nuovo
grazie alle proiezioni sovrapposte, dunque grazie alla forma. Inoltre,
preso nel suo insieme, questo brano non è altro che una serenata al
chiaro di luna dei suoni armonici, con un'eco che giunge da "Dove
squillano le belle trombe" (“Wo die schönen Trompeten blasen”: Gustav
Mahler, 14 Lieder aus “Des Knaben Wunderhorn” - Il corno magico del
fanciullo) e risponde il trombone presago di morte, finché il tamburo
militare, suonando la ritirata, non viene a turbare l'idillio; allora
l'innamorato si allontana continuando a suonare il suo mandolino,
mentre l'amata lo saluta con un gesto del violino. L'ascoltatore non ha
il tempo di abbandonarsi a tale idillio, come sarebbe forse possibile
in Mahler, cui mi sono ispirato nella scelta del vocabolario della mia
interpretazione.
Questo è un Mahler visto da un binocolo rovesciato, radicalmente
ridotto a segnali minimi, dato come un palloncino sgonfio, che dobbiamo
gonfiare ognuno per conto proprio; in tal senso la musica di Webern è,
come esperienza interiore, tanto ampiamente dimensionata quanto
l'universo sinfonico di Gustav Mahler, ossia è infinita. Ma non è la
ricostruzione intellettuale dell'idillio ad essere determinante, quanto
piuttosto il fatto che al tempo stesso esso venga negato come momento
di appagamento; in ogni caso è importantissimo questo atteggiamento di
concentrazione sul dato strutturale, da cui ricaviamo non solo il senso
di malinconica rinuncia, ma anche di una nuova forza espressiva, che
Webern non ci ha negato.
Come ogni opera in sè convincente questo brano non è solo una
struttura sonora unica e compiuta in se stessa (una definizione che
finirebbe per ridurre le attività dello spirito a puro e semplice
archiviamento intellettuale del percepito); mi pare altrettanto
calzante, e mi è particolarmente cara, la definizione di "suono
strutturato", in cui intuiamo un'identità di sonorità ed espressione,
ed in tale esperienza complessiva l'intuizione gioca un ruolo
dominante. E come in tale esperire l'esperienza della forma non si
lascia scindere dall'esperienza del carattere sonoro sovraordinato
(quello che i musicisti pop chiamerebbero "sound"), o, in altre parole,
come costruzione ed espressione non si lasciano separare, allo stesso
modo è impossibile nell'ascolto separare l'intelletto dall'intuizione:
l'uno mette le ali all'altra.
Il termine "suono strutturato" che ho qui introdotto al posto di
"struttura sonora" deriva da un'idea di suono in cui il fatto sonoro,
proprio come compagine multidimensionale di ordini (Anordnungen) di
introstrutture sonore, non si riduce a puro e semplice stimolo
acustico, ma si svela poco per volta, nel corso di un processo di
esplorazione molteplice e stratificato di una data costruzione sonora,
le cui componenti si trovano in tipica connessione tra loro. L'arpeggio
mi sembra la più efficace visualizzazione ditale forma di esperienza
strutturale: se un arpista tocca un accordo sul proprio strumento, può,
nel succedersi dei singoli suoni, avere allo stesso tempo la percezione
di se stesso; se invece fa scorrere la mano dall'alto al basso (dal
punto di vista tecnico si tratterebbe di un glissando, ma lo si
potrebbe anche vedere come una scala arpeggiata) ha la percezione del
suo strumento e del suo suono. Allo stesso modo un'opera musicale si
manifesta allo stesso tempo come struttura sonora e come suono
struttura grazie ad una sorta di immenso arpeggio sull'immaginario
strumento sonoro e formale costruito apposta dal compositore, che non
si limiterà a scegliere ogni singola corda di quest'arpa immaginaria,
ma ne ricaverà una forma più o meno complessa a seconda dei mezzi a sua
disposizione. Anche la disposizione delle corde sarà parte essenziale
di questa costruzione, e forse alcune di esse potrebbero essere come
dei fasci di corde più sottili, componendosi a loro volta di
interstrumenti. In virtù di particolari affinità tra corde vicine o
lontane risultano all'interno dell'arpeggio le più differenti modalità
di collegamento. In tale procedimento di esplorazione si manifesta non
solo la struttura dello strumento, ma, indirettamente, anche quella del
costruttore e dello strumentista, persino quella del compositore.
Posso perciò continuare ad attenermi a quel modello di rappresentazione per cui struttura è polifonia di ordinamenti (Anordnungen) esplorabili per mezzo della percezione, e sperimentabili, nel corso ditale processo esplorativo, come idea sonoriale e strutturale, nonché come espressione. Alla base di ogni ordinamento (Anordnung) si trova una scala, come sempre verificabile, di accadimenti sonori, che, pur nella loro totale diversità, si ricollegano tutti ad un'unica idea caratteristica, ad un'idea sonoriale che li accomuna. Non sarà però tanto semplice ricavare tale idea dal singolo accadimento sonoro, così come un singolo individuo non può essere realmente rappresentativo della famiglia cui appartiene. (Può addirittura succedere che in un dato momento un individuo non sia rappresentativo non solo della sua famiglia, ma anche della sua nazione, razza, società; il suo ruolo ed il suo significato si precisano soltanto se gradualmente completati dal contesto.)